domingo, 4 de enero de 2009

Certi leader statunitensi dovrebbero pensarci bene prima di definirsi eredi di Churchill

Paul Kennedy:
Facendo delle ricerche per un libro sulla seconda guerra mondiale, ho scoperto molte cose sui viaggi dei due leader degli Alleati, Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill.Costretto su una sedia a rotelle dalla poliomielite, Roosevelt era il meno mobile dei due, ma quando il conflitto con l'Asse si intensificò fece tre importanti viaggi all'estero per consultarsi con sovietici, britannici e comandanti militari come Eisenhower.Winston Churchill, invece, rientrava in una categoria a parte: era di costituzione robusta e molto interessato a tutti gli aspetti della guerra. Oltre a partecipare alle grandi conferenze degli Alleati, insisteva per visitare i campi di battaglia. Era difficile tenerlo lontano dal fronte. Una famosa fotografia del luglio del 1944 lo ritrae con il sigaro in bocca nel bel mezzo della battaglia di Normandia, mentre guarda le bombe che esplodono sulle postazioni tedesche.Se parlo di questi due grandi leader è perché mi viene in mente un altro comandante in capo, quasi arrivato alla fine dei suoi otto anni di presidenza. Fare un confronto tra l'attuale amministrazione Bush e i governi di Roosevelt e Churchill non è scorretto, se non altro perché la stessa Casa Bianca ha evocato spesso quell'epoca e il ricordo della "generazione dei grandi".Per la maggior parte dei membri dell'amministrazione – e per tutti i neoconservatori statunitensi – Churchill è un'icona, l'incarnazione di quello che loro stessi hanno cercato di fare con la guerra globale. Può essere quindi istruttivo – e a mio parere allarmante – ricordare il numero e la durata delle visite del presidente Bush nei vari teatri di guerra da quando è cominciata l'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq, cioè a partire dal 2001.Ecco l'elenco delle sue presenze in Iraq: 27 novembre 2003, due ore e mezzo per un pranzo del Ringraziamento con le truppe, senza mai lasciare la base americana nell'aeroporto internazionale di Baghdad; 3 giugno 2006, cinque o sei ore nella Zona verde fortificata di Baghdad; 3 settembre 2007, cinque o sei ore per visitare la base aerea di Al Asad, la fortezza americana nella provincia occidentale di Anbar.In pratica Bush, in più di cinque anni di conflitto, non ha passato neanche un giorno intero in Iraq. Impressionante. Chi dubita dell'esperienza e della conoscenza del mondo di Barack Obama forse dimentica che, durante la sua visita in Iraq del gennaio 2006, il candidato ha passato due intere giornate "lontano dalla sicurezza della Zona verde per incontrare gli americani e i comandanti militari che operavano sul territorio", come ha riferito Abc News.Il presidente è stato in Afghanistan una sola volta. Ha passato cinque ore a Kabul il 1 marzo 2006, quando la situazione era abbastanza tranquilla. Viene da chiedersi perché c'è andato.Come può un leader scatenare una guerra lunga e disastrosa come quella in Iraq, continuare a chiedere centinaia di miliardi di dollari per finanziarla, invitare gli americani a tenere duro, senza passare un po' di tempo sul campo? Un vero comandante in capo dovrebbe essere molto preoccupato per quello che succede alle truppe ai suoi ordini.Anche se la guerra in Iraq sarà probabilmente l'eredità principale che ci lascerà l'amministrazione Bush, il presidente non si è mostrato mai entusiasta all'idea di vederla da vicino. A questo punto è inevitabile trarre due conclusioni spiacevoli. La prima è che, a livello emotivo, questo presidente ha difficoltà a guardare troppo da vicino le conseguenze di un disastro, che si tratti dei danni causati dall'uragano Katrina, delle strade devastate delle città irachene, o delle macerie del World trade center dopo l'11 settembre.Sarebbe già qualcosa se il signor Bush si fosse fatto vedere a fianco del combattivo sindaco Rudolph Giuliani mentre dirigeva le operazioni di soccorso dopo l'attentato.In secondo luogo, non accetto l'idea che, per evitare altri episodi come l'assassinio di Kennedy, il presidente degli Stati Uniti debba essere tenuto al riparo da qualsiasi pericolo. È malsano proteggere l'uomo che prende le decisioni più importanti del mondo da tutto ciò che è spiacevole, come si faceva con gli ultimi zar della Russia imperiale.È malsano che le conferenze stampa del presidente siano sempre più prefabbricate e prive di contraddittorio, come è malsano che non esista un luogo dove il capo del governo è costretto a confrontarsi con i suoi critici. Infine, è malsana l'insistenza dei "guardiani" del presidente nel dire che non deve correre neanche il minimo rischio.Nel gennaio del 1943, dopo aver detto addio al suo grande amico Roosevelt a Casablanca, il sessantottenne Winston Churchill salì su un aereo che sorvolò la Tunisia occupata dai tedeschi per andare a visitare le truppe britanniche in Egitto.Prese un treno per risalire la costa siriana e andare a incontrare il presidente turco, volò a Tripoli, dormì in un camion dell'esercito e pranzò con il generale Montgomery mentre i cannoni della contraerea tenevano a bada un aereo da ricognizione tedesco. Poi si preparò a tornare a casa, quattro settimane dopo aver lasciato Londra. Certi leader statunitensi dovrebbero pensarci bene prima di definirsi churchilliani.

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